venerdì 18 novembre 2011

Diaspora compie un anno e ingrana la Beta


Roma - Il 15 settembre 2010 i quattro studenti universitari Maxwell Salzberg, Daniel Grippi, Raphael Sofaer e Ilya Zhitomirskiy (recentemente scomparso) davano vita, rilasciando il codice, a Diaspora, il primo social network open source. A poco più di un anno di distanza è imminente la beta del servizio, che promette tante novità. Per illustrarle e per spiegare meglio, a chi non conoscesse Diaspora, cos'è e come funziona questo social network abbiamo rivolto qualche domanda a Silvia Ariccio (nota come Morgenstern) laureanda in psicologia che contribuisce a Diaspora promuovendone la diffusione, supportando il lavoro degli sviluppatori con idee e consigli e su come rendere diaspora più user friendly; a Vittorio Cuculo laureando in Informatica all'Università di Pisa, sviluppatore di Diaspora e gestore del pod ad iscrizione libera sul server di eigenLab; a Paolo Tacconi, ingegnere delle telecomunicazioni, traduttore e semplice utente.

Nascita

Punto Informatico: Perchè un altro social network?

Silvia Ariccio: Diaspora è nata per proporre un'alternativa ai grandi social network già esistenti Il fatto che ci fosse un'esigenza di questo tipo emerge dall'entità delle donazioni che dimostrano quanto i donatori fossero interessati a vedere un qualcosa che fosse diverso rispetto ai social network che già sono abituati ad utilizzare.

Vittorio Cuculo: In seguito alla nascita degli altri social network penso che ci sia stato il bisogno di una gestione più rispettosa dei dati degli utenti e quindi della loro privacy (cosa che Facebook si sta affrettando a fare in questo ultimo periodo con scarsi risultati). L'utente ha sentito il bisogno di non sentirsi semplicemente un dato statistico da vendere al migliore offerente, quindi dare vita ad un social network libero che non sottostasse alle leggi di una società centralizzata è stata la logica conseguenza.

Paolo Tacconi: Forse sarebbe giusto chiederselo se, per l'utente medio, i social network fossero il posto ideale per eccellenza. E' vero, in questo momento hanno delle bellissime e accattivanti funzionalità, ma se fossero stati perfetti l'alternativa non si sarebbe cercata. Evidentemente si sentiva il bisogno di uno strumento dove fosse facile avere sempre presente la visibilità di ciò che postiamo. Allo stesso tempo si è cercato di creare una piattaforma interoperabile, mentre gli altri social network sembrano piuttosto un giardino racchiuso dentro un muro con le proprie regole non condivise e la propria censura.

PI: Perché Diaspora? Perchè questo nome biblico?

SM: Per come la spiegano gli sviluppatori si tratta di "dispersione". Il logo mostra infatti tanti semi che si disperdono a simboleggiare i dati che sono sparsi su tanti pod (server); ma vuol evidenziare anche il distacco dagli altri social network, dimostrare la differenza.

VC: Diaspora appunto indica la struttura decentralizzata dei tanti pod dispesi geograficamente.

PT: Lo vedi dal simbolo che è un seme di soffione, e ritengo che possa essere inteso in due sensi: sottolinea il fatto che è nato per creare una diaspora dagli altri social network e crearne uno nuovo, che è costituito da tanti semi che si spargono per il mondo.

PI: I maligni dicono che Diaspora sia nato per l'esigenza dei quattro studenti di reperire fondi e per poi scriverci la tesi di laurea...

VC: Se avessero voluto far soldi non avrebbero creato un progetto open source. Se fai questo non pensi al guadagno e soprattutto non devi rendere conto di tutte le donazioni, inoltre sai che tutti i soldi che guadagnerai andranno reinvestiti. Lo dimostra il resonto pubblico di ogni centesimo donato e speso.

PT: Il progetto sta crescendo e il risultato è soddisfacente e quindi basta questo per mettere i maligni a tacere. Se poi i programmatori o gli ideatori ne fanno un'attività, comunque sia, lo scopo è ottimo.

PI: E' vero che Marck Zuckeberg, creatore di Facebook, ha donato dei soldi? Se si perchè lo avrebbe fatto?

VC: E' vero e analizzando il fatto, in quel periodo Facebook risentiva di critiche, non ci stupiremmo se fosse stata una manovra. La donazione è stata annunciata durante un'intervista a Wired dove veniva anche introdotto l'argomento sulle regole a protezione della privacy adottate da Facebook.

SM: E' da considerare anche che il codice aperto può anche essere fonte di idea e di ispirazione come per esempio le liste (aspetti) che sono state copiate, come faceva notare Paolo, sia da Facebook che da Google+. Anche questo può essere stato un motivo.

PT: E' successo davvero. Quando ci fu il lancio di Diaspora fu una cosa di cui si sentiva parlare spesso. Ufficialmente non c'è un comunicato dove Zuckerberg spiega le sue ragioni. Potrebbe essere stata una sfida, come a dire "Non scalfirete Facebook anche se vi finanzio", o "voglio vedere se sarete più bravi di me", ma possiamo solo fare delle congetture. Potrebbe essere anche una questione di immagine, anche se mi domando che ritorno possa avere. Resta il fatto che Zuckerberg ha un profilo su Diaspora.

Funzionamento

PI: Come funziona Diaspora?
VC: Tutti i dati degli utenti non risiedono in server centrali come avviene per gli altri social network, ma i loro dati vengono distribuiti geograficamente nel mondo. La registrazione avviene su un solo pod, e su quello soltanto l'utente si può loggare e su quello soltanto risiederanno i propri dati o quanto pubblicherà. Se un utente vuole creare il proprio pod può farlo rimanendo in contatto con i propri amici registrati su quel pod o con quelli di tutto il mondo.

SM: Si evita la ridondanza per privilegiare la privacy: tu sei su un pod e i tuoi dati sono solo su quello. Un utente sceglie dove registrarsi in base a diversi elementi quali, ad esempio, la fiducia che ha nel gestore del pod o in base alla vicinanza geografica. L'utente ha anche la possibilità di effettuare dei backup, nel caso dovesse succedere qualcosa evita la perdita di ciò che ha pubblicato.

PT: E' un ibrido tra funzionalità scelte di Twitter e Facebook, quindi assodate nei social network, ma è dotato anche di caratteristiche nuove e originali.

PI: Essendo un'alfa, Diaspora è ancora su invito ma ci si può registrare anche senza su alcuni pod. Come mai questa scelta?

VC: In effetti, essendo open source sarebbe bastato cambiare una riga di codice e renderlo disponibile a tutti, ma per quel che rigurda JoinDiaspora che è il pod dei fondatori si aspetta che i tempi siano più maturi prima di aprirlo a tutti. Vorrei specificare però che quando si installa un pod è a discrezione di chi lo installa se renderlo libero o meno, viene lasciata libertà di scelta.

PT: E' una scelta dovuta a motivi tecnici. Quando è stato lanciato il servizio, il codice non era particolarmente testato e inoltre il pod (JoinDiaspora) avrebbe potuto avere dei problemi se ci fossero stati tanti utenti sopra. Così è stato deciso di limitare le iscrizioni per migliorare e ottimizzare il funzionamento della piattaforma. Con la nascita di altri pod si è potuto differenziare il servizio.

PI: L'interfaccia somiglia molto a quella di Facebook, ma "dentro" cosa c'è di diverso?

VC: Non bisogna guardare alla veste grafica, all'interfaccia utente, quello che lo rende diverso in maniera significativa è la decentralizzazione della rete.

SM: La libertà di poter scegliere il pod sul quale iscriversi per esempio.

PT: L'elemento fondamentale è il codice aperto e quindi, volendo, possiamo avere la possibilità di sapere davvero cosa fa mentre lo usiamo! Poi la rete distribuita prospetta il ritorno a Internet libera e senza frontiere. I pod sono stati pensati in modo da poter comunicare tra loro, con la stessa apertura con cui parlano alla pari i server di posta elettronica, una pietra miliare di internet. Oggi non è più scontato che i servizi in rete siano interoperabili. E infine, ma non meno importante, dietro a Diaspora non c'è una corporation che controlla i propri iscritti. Al massimo potrebbe succedere per un pod, è vero, ma ciò non significa controllare l'intera rete.

PI: Dal punto di vista dell'utente cosa lo differenzia dagli altri social network?

SM: Importante è il fatto che l'utente sia una parte attiva. Può influire sullo sviluppo, correggere i bug se ne ha le competenze, senza aspettare che ci siano nuove feature, o che qualcuno lo faccia per lui o semplicemente discutendo, partecipando o proponendo.

VC: L'utente appunto non è solo un utilizzatore finale ma partecipa attivamente.C'è ad esempio il forum, il wiki, la traduzione, la possibilità quindi di essere propositivi e anche e non ultimo di poter creare un nuovo pod.

PT: Su Diaspora ci sono impostazioni intenzionalmente semplicissime che ti permettono di sapere quello che fai e di poterlo fare facilmente. E' vero, si può dare a un utente la possibilità di personalizzare ogni dettaglio, ma più impostazioni ci sono più è difficile capire le conseguenze delle scelte che si fanno. L'utente resta in possesso dei dati, il che non è una cosa così ovvia ormai. Io posso caricare una foto su Diaspora e sapere che rimarrà mia, nel senso che nessuna società potrà farne uso senza il mio consenso. La cancellazione dei dati è definitiva. Devo dire che la comunità è ancora piccola ma frizzante. E poi, come è fisiologico che sia, ci sono ancora una pioggia di bug.

PI: cosa è richiesto a chi voglia contribuire?

VC: La conoscenza di Ruby on Rails, un framework per applicazioni web molto semplice, e javascript

PT: Ci vogliono anche persone che installino nuovi pod per aiutare ad ampliare la rete e a studiarne il comportamento.

SM: Non serve comunque essere sviluppatori, io ad esempio che non so programmare riesco a fare la mia parte in tanti modi perchè bisogna anche pensare a cosa serve, come proporre agli utenti, come promuovere e quindi non servono solo competenze informatiche. Il progetto deve essere supportato anche in questi modi.

Filosofia

PI: Perchè gli utenti dovrebbero preferire Diaspora agli altri social network?

VC: Se hanno a cuore la privacy trovano terreno fertile e questo rappresenta un motivo non indifferente per sceglierlo; e poi il fatto di poter essere parte attiva e non dei semplici utilizzatori.

SM: Per sentirsi in una comunità, cosa che succede di rado in altri social network: anche se non ci si conosce di persona ci si interessa ai nuovi utenti e li si aiuta, si condividono esperienze, ci si consiglia.

PT: Soprattutto, come dicevo prima, per le impostazione semplici e la qualità dei pod.

PI: La beta SMrà rilasciata a breve: e i bug? E le novità?

SM: Per quanto riguarda i bug direi che la sincronizzazione tra pod non è perfetta, è difficile vedere i tag che sono sui diversi pod, trovare le persone a volte è difficoltoso e in passato non si vedevano i post tra pod diversi o arrivavano in ritardo.

VC: Quello di cui parla Silvia è un problema conosciuto nei sistemi decentralizzati_ laddove c'è uno scambio di messaggi tra pod, se un pod è down per una qualche ragione, trascorso un certo periodo il messaggio viene perso. Però voglio aggiungere che sono arrivo alcune nuove funzionalità, una la stiamo già sperimentando ed è quella di poter bloccare le persone. Inoltre già qualche mese fa ho implementato una estensione per Google Chrome, chiamata Diaspora Publisher, che permette di condividere articoli o siti web sul proprio profilo di Diaspora. Infine ho sviluppato la chat testuale e la videochat che presto saranno disponibili. Ho presentato questi progetti al Google Summer Of Code 2011 e il giorno dopo erano già stati copiati dagli altri social network. Questo ci mostra la differenza che passa tra l'avere uno stuolo di sviluppatori a disposizione e uno solo che lavora a un progetto.

PT: I bug sono aumentati perchè, con l'avvicinarsi della beta, sono state inserite velocemente delle nuove funzionalità che devono essere ancora stabilizzate e che hanno anche creato, in alcuni casi, delle regressioni. La novità maggiore sono gli "aspetti" che sono stati proposti anche su Google+ e Facebook, ma che sono nati su Diaspora e restano un aspetto fondamentale di questo social network. Si tratta dell'equivalente delle cerchie di amici o dei gruppi. Non sono pubblici e servono a scegliere con chi condividere i post, in base agli aspetti della nostra vita.

PI: Quali sono i punti di forza dei social network più famosi, e in cosa devono essere migliorati o potenziati rispetto a Diaspora?

SM: Il punto di forza degli altri social network è la quantità di utenti. Un utente di solito si iscrive dove trova gli amici mentre su Diaspora difficilmente, per ora almeno, si trovano persone che si conoscono nella vita reale.

PT: La potenza di Facebook è l'enorme numero di utenti è poi la semplicità di creare un circuito di discussione e condivisione. Il punto debole di questa rete è il modello di business che consiste nella profilazione e nella raccolta dei dati e non si può migliorare, perchè Facebook vive solo di questo: è la sua ossatura. Inoltre non va trascurato il numero degli sviluppatori ed esperti marketing che ci lavorano. E' difficile con questi presupposti trovare punti che possono essere migliorati salvo quelli che riguardano la sfera privata. Infatti il network è stato ottimizzato a misura dell'utente, tranne che in quei settori che sono funzionali proprio alla famigerata raccolta di dati.

PI: In che modo Diaspora dovrebbe fare la differenza?

PT: Diaspora non è nata per distruggere o soppiantare altri social network, ma per dare la una possibilità di scelta che mancava. La differenza la sta già facendo e lo dimostra il fatto che Google+ e Facebook l'abbiano copiata. Se consideriamo che è solo un'alfa la cosa non è indifferente. Quante alfa ci sono che hanno influenzato colossi quale è Facebook?

VC: Per la qualità del servizio che offre. Inoltre, essendo un progetto open source, si può contribuire e guardare all'interno e vedere cosa accade al contrario di quanto avviene negli altri social network a cui bisogna affidarsi e fidarsi.

PI: Abbiamo letto tutti quello che è successo a un utente Facebook che ha richiesto i propri dati e si è visto recapitare tutto quello che aveva postato compreso quanto aveva cancellato. Non credete che questo, oltre a non essere etico, rappresenti l'impossibilità di cancellare dalla memoria eventi che si vorrebbero dimenticare?

SM: La tecnologia ci aiuta a tenere il ricordo di eventi che altrimenti dimenticheremmo. E' una forma di memoria artificiale che aiuta la nostra. Quelli di Facebook hanno interesse a mantenere tutti i dati che riguardano gli utenti per poterli reperire e riutilizzare, hanno infatti il controllo totale su quanto pubblicato che non si possiede più dal momento in cui si condivide.

PT: Diaspora cancella effettivamente i dati che vogliamo cancellare e questo lo sappiamo perchè il codice è aperto e vediamo le operazioni che vengono svolte. In verità è Internet che ci pone davanti a questa novità perchè le informazioni che mettiano online anche involontariamente rischiano di rimanerci per sempre. Si possono fare cose di cui ci si può pentire in futuro o pubblicare dati che vengono visti da chi non vogliamo. Non è giusto dover essere sempre pronti a rispondere della nostra vita privata a meno che non sia una cosa legalmente rilevante. I social network non danno garanzia che il passato sfumi e potenzialmente potrebbe anche essere usato contro di noi. Può succedere anche su Diaspora, ma il fatto che le informazioni siano suddivise su aspetti le rende più sicure per la vita di tutti i giorni. E' interesse di tutti che ci siano piattaforme di social networking che non solo diano la possibilità di cancellare i dati, ma che anche abbiano a cuore in tutto e per tutto le necessità dell'utente.

Futuro

PI: I social network stanno avendo un successo incredibile. Da cosa pensate nasca questo bisogno di mettersi così a nudo?

SM: La nostra epoca è quella in cui le persone tendono ad aver voglia di mettersi in mostra, ma è riduttivo ritenere che i social network abbiano successo a causa del fatto che le persone abbiano bisogno di mettersi a nudo. Un social network è uno strumento molto variegato per comunicare e informarsi, un mezzo usato anche molto per moda e quindi non si può ridurre il successo dei social network alla questine del narcisismo, è una forzatura. E' vero anche che i social network sono una forma di comunicazione complessa rispetto a quanto per esempio può essere una chat, per cui con il primo finisci per trasmettere tante informazioni personali a più persone di quante in realtà vorresti. E' proprio questo eccesso di condivisone che fa guadagnare e quindi l'utente è incentivato a condividere. A conti fatti potrebbe non essere una scelta.

VC: Gli strumenti ci sono, dipende dall'uso che se ne fa, non serve mettersi a nudo e Diaspora non lo richiede né lo impone. Non c'è nessuna restrizione e non vengono chiesti dati personali, si può essere chi si vuole, anche una persona diversa da quella che si è realmente. Negli altri social network invece non possono essere inseriti dati diversi da quelli reali perchè non si possono vendere dati inventati quindi tutto deve essere associato alla vera identità di una persona.

PT: Ci sono due aspetti fondamentali per cui i social network hanno successo: uno è che molti utenti sono appagati dal riscontro che hanno in Rete, e l'altro motivo è che le persone hanno bisogno di svago e di divertimento e di stare a contatto con gli altri. Un altro aspetto che ho constatato, è che stare su queste reti è molto rassicurante. Nell'ambito dei nostri contatti è facile che si crei una cerchia di persone più ristretta, di quelli che la pensano esattamente come noi, con gli stessi punti di vista o esperienze simili. Così una rete che, potenzialmente, ti potrebbe aprire al mondo, rischia di avere l'effetto opposto, perché puoi sempre evitare il confronto con chi la pensa diversamente. Nella vita reale è raro trovarsi in un contesto così plasmabile a piacere.

PI: quali sono le aspettative degli sviluppatori per il futuro?

VC: Migliorare e raggiungere più utenti che non siano solo utenti, che collaborino allo sviluppo e siano sensibili ai temi dell'open source.

PT: Rendere la loro attività redditizia nel senso che possa diventare sostenibile anche senza le donazioni. Credo che l'intenzione sia quella di mettere su una società che si occupi di Diaspora e che possa pagare gli stipendi.

PI: La comunità italiana in cosa sta contribuendo?

VC: Diaspora è fatta dalla comunità che la vive. Gli italiani stanno contribuendo nello sviluppo e nella traduzione.

PT: La comunità italiana è parecchio incisiva e fa anche da leva. C'è stato un periodo, per esempio, in cui ha sollecitato i programmatori perché dessero maggiori feedback su quanto stavano facendo. C'è molta voglia di sapere come sta andando lo sviluppo. Inoltre credo che siano stati soprattutto gli italiani a promuovere la creazione della funzionalità "ignora utente".

SM: Vorrei sottolineare che la community italiana è la più numerosa dopo quella angolofona, francese e tedesca. Quindi è facile trovare utenti italiani, ed è facile che la comunità italiana si organizzi e sia ascoltata, come diceva Paolo, proprio perché numerosa.

PI: Pensate in futuro di avere un successo pari a quello degli altri social network anche in termini di guadagno?

VC: Non si pensa al guadagno, ciò che arriva dalle donazioni serve a mantenere vivo il progetto, non esistono banner e i dati non vengono venduti.

SM: Diaspora è una fondazione, e quindi non è orientata al profitto, non c'è l'intento di accumulare soldi né di arricchire nessuno; gli sviluppatori fondatori ricevono giustamente uno stipendio, che deriva unicamente dalle donazioni. A ogni modo nessuno vieta a chi mette su un pod di crearsi modi per guadagnare o finanziarsi, e sarà sempre l'utente che avrà la libertà di sceglierà su quale iscriversi. C'è piena libertà anche su questo.

PT: Il guadagno non è uno degli scopi dichiarati di Diaspora, ma è anche molto presto per capire. Twitter per esempio ha molto successo ma non sono riusciti a trovargli ancora un modello di sotenibilità economica. Posso dire che Diaspora è pensato più per l'utente che per il profitto, in aderenza allo spirito del software libero.

a cura di Patrizia Bisaccia

Fonte Punto Informatico.
La pubblicazione su questo blog è a cura dell'autrice


A Rita che scriveva come io non farò mai

domenica 11 settembre 2011

Minihowto:Risolvere il problema di login con checkgmail


Da qualche tempo checkgmail mi segnalava un errore al login e non si connetteva, non lo faceva sempre era una cosa fastidiosa e, cercando in rete ho potuto verificare che Google ha modificato la procedura per il login. Ho effettuato l'update come si consiglia qui, ma senza ottenere risultati. E' un'operazione che va comunque effettuata perchè,continuando a cercare, ho scoperto che era necessaria una patch, disponibile per la versione updatata, e quindi, come viene proposto su questo forum, da qui ho scaricato la patch e da terminale, come root, mi sono posizionata nella directory che la conteneva e ho scritto

patch `which checkgmail` checkgmail.patch

Ho mandato in esecuzione il programma e il problema non si è più presentato.

mercoledì 6 luglio 2011

Imparare divertendosi con Qimoit

Il 28 giugno presso la scuola elementare di Bagno di Gavorrano, Claudio Carboncini del GroLug ha tenuto un corso di aggiornamento per le maestre del comprensorio relativamente a Qimoit e ai software pensati per la didattica della scuola primaria.
Le maestre hanno partecipato numerose e motivate ponendo domande e proponendo esempi pratici sull'applicabilità dei software illustrati.
Mi sono resa conto, in questo contesto, che i bambini vanno coinvolti in maniera partecipativa e che se sono adeguatamente stimolati riescono ad ottenere risultati notevoli.. Non è sicuramente facile riuscire ad ottenere la loro attenzione totalmente perchè a quell'età hanno talmente tanti stimoli esterni, interessi e distrazioni che già solo tenerli seduti dev'essere un'impresa. Ritengo quindi che il lavoro di una maestra della scuola primaria sia molto impegnativo ma anche, una volta raggiunti gli obiettivi prefissati, molto gratificante.
Ho già raccontato l'esperienza di Claudio con i bambini e lo scopo di questo corso è amplificarla ed estenderla a tutte le classi del comprensorio di Gavorrano. Sono sicura che tutte le maestre presenti all'incontro si siano già messe all'opera perchè sono rimaste entusiaste di Tuxpaint, Scratch, i giochi matematici e di memoria che trovano su Qimoit e troveranno il modo di coinvolgere i loro bambini stimolando la loro fantasia e le loro attitudini rendendo così i programmi più divertenti e facendo il loro lavoro in chiave decisamente più dinamica. L'uso dei laboratori a tutto tondo aiuta senz'altro a socializzare, ad esprimersi in maniera creativa e collaborativa, a dare sicurezza ai più timidi e ad inserire nel contesto classe anche i diversamente abili. Se a questo si aggiunge che i software sono gratuiti e sicuri e diversi da quelli ai quali sono abituati direi che davvero la situazione è ottimale.
Buon lavoro quindi alle maestre ed ai bambini che a settembre impareranno divertendosi!

Di seguito, per chi fosse interessato, i link utili per ottenere la distribuzione e la guida per l'installazione.
qimoit.iso: http://www.debian-edu.it/qimoit.iso
qimoit.iso.md5: http://www.debian-edu.it/qimoit.iso.md5
la documentazione sull'installazione in formato pdf: http://www.debian-edu.it/qimoit1.pdf
la documentazione sull'installazione in formato html: http://www.debian-edu.it/qimoit1html.html

venerdì 10 giugno 2011

Metti Tux tra i bambini e avrai una storia magica


C'era una volta..... no, non sto raccontando la favola di Pinocchio ma sto per farvi vedere come Claudio Carboncini e una classe di bambini delle Elementari di Bagno di Gavorrano, abbiano realizzato una storia utilizzando strumenti liberi. Lo farò con una punta di invidia perchè il mio sogno è insegnare proprio a loro perchè sono dotati di una creatività che non ha eguali.

Ecco un assaggio:
Esperienza uso tecnologie informatiche nella scuola primaria di Bagno di Gavorrano

di Claudio Carboncini

Questo documento descrive sommariamente l'esperienza sull'uso delle tecnologie informatiche effettuate nel pomeriggio con bambini di 6-7 anni durante i mesi di gennaio-maggio 2011 presso la scuola primaria del Bagno di Gavorrano.

In particolare viene analizzato il programma Tuxpaint e un suo possibile uso da parte di bambini delle prime classi della scuola primaria. In una prima fase i bambini hanno disegnato a mano libera su carta i modelli proposti (personaggi manga, cane, gatto..) che utilizzano le forme di base, in una seconda fase hanno riprodotto al computer il disegno a mano libera con il programma Tuxpaint.

TuxPaint ha un limite importante: pur essendoci le forme di base una volta inserite nell'immagine non è possibile più selezionarle e spostarle.
L'editor grafico di Scratch, un programma di programmazione per bambini, sviluppato dal M.I.T. di Boston, pur essendo meno ricco di TuxPaint, permette di selezionare e spostare parti della figura disegnata.

Scratch è un software con molte funzionalità che permette tra l'altro di programmare le figure disegnate, simulando il movimento delle stesse.

Sono stati presentati anche programmi di autoapprendimento-divertimento come Childsplay, Gcompris e TuxType, che hanno visto impegnati tutti i bambini per circa 6 ore.

I bambini meno motivati sull'uso delle forme per riprodurre il disegno fatto nella prima fase (quasi sempre della prima classe della scuola primaria) hanno utilizzato questi programmi per molto più tempo tenendo sotto controllo nel laboratorio la loro esuberanza.

Tutti i programmi utilizzati, hanno licenza gpl o licenza comunque libera, con l'obiettivo di incentivare la copia e la distribuzione del sofware a costo zero.

Il laboratorio dove si è sviluppata la parte operativa dell'esperienza era in condizione non buone, sia dal punto di vista dell'hardware (macchine non funzionanti con architetture obsolete e con diverse dotazioni di ram da 48 Mb a 512) che del software (Win 98, Win 2000, Win XP).

Con l'aiuto del Grolug di Grosseto, si sono eliminate le macchine non funzionanti, sostituendole con pc riadattati che sono stati dotati in genere con 512 Mb di Ram.

Si è installato il sistema operativo Qimo for Kids, basato sulla distribuzione ubuntu 10.04 su tutti i pc.

Ho riiportato la sola introduzione ma se volete entrare nella favola vi invito al download del lavoro completo e potrete vedere all'opera: Crabzilla, Fizzle Kitty, Dino Crush...e ditemi se non è magia!

venerdì 3 giugno 2011

Lezione di Linux all'ITC di Grosseto


E' diventata ormai una tradizione per le quinte del corso Mercurio dell'ITC “V. Fossombroni” di Grosseto assistere, in questa parte dell'anno scolastico, a una lezione su Linux. Quest'anno, alle classi terminali, si è aggiunta anche una prima perchè, con la riforma dell'istruzione, si fa informatica dal primo biennio e quindi di sistemi operativi sentono parlare anche i più piccini.
Alle 8 di mercoledì quindi ci siamo trovati in aula magna dove il tecnico mi aveva preparato un portatile con Ubuntu sulla quale, per la prima volta ho potuto vedere Unity il desktop environment che ha sostituito Gnome nella distribuzione di Canonical.
Ho provato un po' di fastidio perchè sono troppo abitudinaria e non trovare tutto al posto che mi aspettavo non mi ha fatto piacere ma tutto si è svolto meglio di come avessi pensato.
Ho iniziato parlando della filosofia che sta alla base del software libero, specificando che non si tratta di politica che con i sistemi operativi nulla ha a che vedere, delle regole del software libero, passando per l'OpenSource e poi soffermandomi su Gnu/Linux e sulle differenze che ci sono tra questo sistema operativo e quello di Microsoft. Ho cercato di spiegare anche le difficoltà che può incontrare un nuovo utente Linux, come risolverle, come ci voglia spesso tanta pazienza.
Ho parlato anche dei progetti che il Grolug segue in questo momento e quindi :Dossier Scuola, Wiild, Netlive, delle distribuzioni per i bambini delle elementari e del testo di matematica per il biennio Matematicac3.
I ragazzi sono stati molto attenti e molte domande sono state poste, con mia sorpresa, dai più piccini e le due ore programmate per la lezione sono volate.
Dopo aver teminato, mi sono resa conto che c'erano ancora tante cose da dire ma dopotutto è bene lasciare sempre qualche curiosità per dare modo a chi vuole di poter approfondire.

domenica 17 aprile 2011

Il dossier scuola di ILS

Il software libero è lo strumento vincente per il miglioramento dell'educazione dei giovani nonché un mezzo potente nelle mani dei docenti. Nell'ambito dei cambiamenti che sono in atto nella scuola, il dott. Luca Ferroni, coordinatore del Dossier Scuola, ci parla del progetto che sta portando avanti, promosso da Italian Linux Society, e che coinvolge ampia parte della comunità degli appassionati di software libero italiani.

Punto Informatico: Descriverebbe per noi il dossier scuola per quello che rappresenta o dovrebbe rappresentare?
Luca Ferroni: Il Dossier scuola è una raccolta di buone pratiche per l'utilizzo di software libero nella scuola italiana che raccoglie progetti già avviati nelle scuole, motivazioni sul perché la scuola dovrebbe usare software libero e suggerisce il cambiamento. Il nodo centrale è che molti l'hanno fatto e ne hanno tratto vantaggi e benefici. È rivolto a dirigenti, docenti e studenti per promuovere software libero nelle scuole perché il software libero ha a cuore l'educazione e la libertà dei giovani.
PI: Quale è stata la molla che è scattata e ha dato vita a questo progetto?
LF: La molla è stata all'assemblea di Italian Linux Society dove Luca Menini (di ILS) ha proposto di realizzare un documento che raccogliesse le buone pratiche di utilizzo di software nella scuola e io mi sono preso carico di attivare questo progetto per coordinarne la realizzazione. Per dare visibilità ed efficacia al progetto, il Linux day è stato incentrato sulla scuola: a tale scopo lo slogan è stato "investiamo in oro grigio".

PI: Come si è formato il gruppo che si occupa di questo progetto?
LF: Dopo il lancio dell'idea io mi sono proposto come coordinatore del progetto, con lo scopo di coinvolgere i gruppi che si interessavano già di queste iniziative a partire dal PDP (Free Software User Group di Fabriano), per avere ciò che io definisco uno "scoglio": cioè una comunità ristretta da prendere come punto di riferimento.

PI: Quale è stato il passo successivo?
LF: Prendere contatti con chi già da anni si occupava di didattica aperta e di software libero nella scuola. Successivamente ci siamo iscritti alla lista della scuola ospitata da ILS, con l'impegno di aggiornarla costantemente sugli sviluppi del progetto e con la speranza che ci fossero interessati a darci una mano sui contenuti. A fine gennaio col PDP siamo andati ad una conferenza di Richard Stallman organizzata dall'Università di Bologna, da cui abbiamo praticamente trascritto l'intero paragrafo "Perché la scuola dovrebbe utilizzare Software Libero" della sezione 1. Poi abbiamo partecipato al convegno Didattica Aperta dello scorso anno a Verona, dove siamo entrati in contatto con progetti giovani e innovativi come Netlive e Wiild e parallelamente abbiamo preso contatto con progetti storici come FUSS del Sudtirolo e SoDiLinux dell'Istituto Tecnologie per la Didattica.

PI: Ci sono altri interlocutori che hanno contribuito?
LF: I contatti sono stati numerosi anche con altri gruppi giovani e meno giovani come ad esempio l'Associazione per il Software Libero (AsSoLi), ed alcuni esponenti della Free Software Foundation. Non possiamo tacere che i contenuti di questo documento, soprattutto nella parte delle motivazioni sono derivate da quanto ha fatto il progetto GNU negli ultimi 28 anni. In seguito abbiamo preparato le schede per inserire le esperienze di coloro che avevano sperimentato questi progetti per dare una linea guida a chi avesse voluto iniziare ad inserirli nel dossier. L'obiettivo infatti era valorizzare l'esistente in vista del futuro .

PI: Ci sono docenti nel gruppo che ha dato vita a questo progetto?
LF: Al momento, fra noi quattro autori c'è solo un docente di informatica, io ho qualche esperienza di insegnamento sia pur non nella scuola pubblica. Tuttavia abbiamo avuto circa 50 contributori che per la maggior parte sono docenti.

PI: Che tipo di preparazione possiede il gruppo di lavoro?
LF: Siamo laureati ma anche studenti, con preparazione eterogenea, più che altro abbiamo creduto in questo progetto. La più giovane di noi è senz'altro Enza Viccione che a 17 anni ha partecipato al convegno di Verona con un proprio Poster e ha mostrato una grinta poco comune nei ragazzi della sua età. In fase di di stesura è stata la responsabile della sezione per i programmi didattici e laboratoriali.

PI: Cosa ha spinto persone giovani come voi, e non docenti, a pensare al software libero per la scuola pur non avendo le conoscenze di base su cosa la scuola abbia bisogno?
LF: Siamo convinti che il software libero sia l'unico strumento efficace per la didattica. Viviamo un momento di crisi dell'educazione che percepiamo tutti, la fuga di cervelli, il livello di istruzione che si abbassa, difficoltà nel trovare lavoro. È vero molte dinamiche della scuola non le conosciamo nella pratica e negli aspetti burocratici, che sicuramente vanno oltre il software libero, ma ciò che sappiano è che quest'ultimo favorisce la conoscenza e anche l'educazione.

PI: Ci può elencare gli obiettivi che ritiene siano primari per questa iniziativa?
LF: Il primo target è senza dubbio quello dell'educazione per far sì che la preparazione di uno studente si basi su premesse di trasparenza, rispetto, condivisione ed aiuto reciproco su un panorama di strumenti idonei che gli consentano di sviluppare una visione ampia e la capacità di adattamento per ovviare al rischio di avviarlo verso un percorso senza uscita. E per non essere, quando si troverà nel mondo del lavoro, solo il consumatore di una specifica azienda.

PI: Prosegua.
LF: Lo scopo è formare cittadini consapevoli in grado si scegliere non automi che hanno imparato una sola serie di operazioni, ma abbiano spirito critico, voglia di partecipare, condividere e approfondire. Anche se non siamo docenti pensiamo che questi principi siano educativi e fondamentali. La scuola, come tutta la società non sfrutta adeguatamente tutte le potenzialità della tecnologia dell'informazione e non comprende le opportunità offerte dalla riproduzione infinita della conoscenza a costo zero, dalla riusabilità, dal miglioramento continuo che si ottiene attraverso la condivisione.

PI: Questione di risorse.
LF: Il prof Roberto Di Cosmo ci ricorda che l'economia si basa su risorse scarse, ma la conoscenza è un bene comune riproducibile infinitamente senza costi e perciò non è possibile né necessario farne economia. La scuola deve essere pronta a raccogliere questi stimoli. I ragazzi, nativi digitali, hanno voglia di esprimersi e condividere, ma vanno educati alla condivisione per accrescere la loro conoscenza e non alla chiusura cercando di nascondere le opportunità: non c'è peccato più grande di limitare la voglia di conoscere e di esprimersi dei ragazzi. A volte i loro sfoghi, anche in negativo, sono dovuti al non saper valorizzare le loro esigenze. Convogliare le loro energia con stimoli giusti si evolverà a favore della società. I ragazzi devono capire che hanno la possibilità di far evolvere la società e non si devono far sfuggire questa opportunità e soprattutto non se la deve far sfuggire la scuola.

PI: Il progetto è destinato a un solo tipo di scuola o a tutte?
LF: Alla scuola in generale di qualunque ordine e grado, il software è aperto all'istruzione in generale, speriamo che dalle Università venga una segnale forte perché costituiscono un nodo della rete importante per portare avanti queste attività. Sono già state avviate relazioni con Bologna, Ferrara e Bolzano.

PI: Quali sono i requisiti per chiunque volesse entrare a far parte del gruppo?
LF: Oggi esiste un gruppo ristretto che mantiene il dossier scuola e invoglia all'integrazione. Il nostro punto chiave attualmente è comunicare il documento per farlo conoscere attraverso segnalazioni e presentazioni per comunicarlo ad altre associazioni ed iniziare ad aggregare l'interesse, condividendo le finalità con i gruppi che si occupano di software libero. Per chi vuole collaborare o solo seguirci, abbiamo pubblicato da pochi giorni un blog dove iscriversi per partecipare alla rete: come scuola o come singolo, o come gruppo di persone che si occupano della libera conoscenza e condividere la propria esperienza perché i temi dell'educazione che ci interessano sono tanti. Chi volesse collaborare in maniera fattiva può entrare a a far parte del gruppo a più livelli, dal gruppo "scoglio" (il core), alla mailing list con cui ci coordiniamo e teniamo traccia delle cose da fare o delle decisioni prese.

PI: In base a quali criteri è stata effettuata la scelta del software?
LF: Come ho già detto: valutando le esperienze già fatte, testando software diversi per ogni disciplina, per cercare di offrire solo alcuni programmi di riferimento e mettere il docente di fronte a una strada nota e sperimentata. Siamo convinti che se il docente trova interesse poi potrà cercare il software che gli è più congeniale. Ogni software valutato è stato scelto per qualità e valutazioni positive dei suoi fruitori.

PI: Il dossier è stato presentato alle scuole? In che modo?
LF: È stato presentato ad alcuni membri del Ministero dell'Istruzione che ha avuto copie del dossier e che hanno mostrato interesse per la nostra iniziativa. Al momento è in corso la distribuzione su tutto il territorio delle 10mila copie del dossier stampate da ILS. Alle scuole sarà presentato dai gruppi di software libero locali, sempre per il concetto del veicolare l'informazione attraverso chi già si occupa di questi temi nei rispettivi territori.

PI: Il progetto non si limita a GNU/Linux. La scuola e la sua utenza, abituati a Windows, non sono pronti al grande salto?
LF: Il dossier scuola ha come oggetto il software libero, non è focalizzato su un particolare strumento. Secondo me è un errore parlare di strumenti se si perde di vista il quadro generale nel quale questi rientrano: gli strumenti di certo ci consentono di raggiungere la meta, per questo sono molto importanti e ne parliamo, ma ciò che dobbiamo valorizzare nell'educazione non è uno specifico programma o un sistema operativo, siano essi Gnu/Linux o LibreOffice, e neanche il movimento OpenSource che si focalizza sui vantaggi prettamente tecnici dei programmi.

PI: Questo non basta a far preferire soluzioni libere?
LF: Ripeto che sono sicuramente vantaggi importanti e che tutti i "marchi" sopracitati sono apprezzati, ma il raggiungimento degli obiettivi etici ed educativi sono garantiti solamente dall'approccio al software libero. Nella scuola l'arricchimento deve essere formare ed educare docenti e discenti alla consapevolezza e quindi alla scelta. La formazione è studio, spirito critico e di conseguenza l'efficacia e la potenza di un software passano in secondo piano, anche se possiamo comunque affermare che ci sono molte soluzioni libere più potenti delle alternative proprietarie. Se vogliamo mettere su un piatto i privilegi, quelli offerti dal software libero e sui quali il software proprietario non potrà mai offrire una valida alternativa sono proprio la motivazione educativa e formativa. Se l'attività della scuola non parte da questi presupposti, che sono alla base del software libero, è inutile partire con una migrazione perché il rischio è di trovarsi con strumenti più potenti, ma che comunque non rispettano le finalità didattiche.

PI: Qual è dunque lo spirito del documento?
LF: Con questo documento vogliamo dire: "prendiamo la strada dell'innovazione tecnologica ed educativa: insieme. Vi mostriamo che alcuni l'hanno intrapresa riscontrando riduzione dei costi, vantaggi per l'offerta formativa, sicurezza informatica, minori necessità di manutenzione ed innovazioni tecnologiche".

PI: Parliamo di adesioni e di esperienze.
LF: Le esperienze sono varie e variegate, vanno da chi ha messo su laboratori, chi l'infrastruttura di rete, chi ha pubblicato il portale, chi il sistema di e-learning per la gestione dei corsi, a chi ha realizzato percorsi di musica e cinema per stimolare la creatività dei bambini. Alcune esperienze si sono tramutate in progetti che ancora di più aumentano la riproducibilità del percorso. Il numero non è ampio ma ci sono scuole di ogni ordine e grado, sono distribuite nel territorio italiano, anche se concentrate più a nord. Sia nel wiki che nella versione cartacea, in forma più ridotta, si possono trovare le testimonianze dettagliate ed utili indicazioni su come fare per portare l'esperienza nella propria scuola.

PI: Nella dedica si legge:
"Gli autori di questo documento dedicano l'opera ai docenti e ai giovani studenti. Ai primi perché sappiano offrire ogni giorno gli stimoli giusti alle nuove generazioni e farne così dei cittadini maturi capaci di scegliere. Ai secondi perché abbiano il coraggio di prendere decisioni determinanti per costruire insieme il proprio futuro".
Qual è il messaggio racchiuso in queste parole? Di chi sono queste parole?
LF: Il messaggio è il nocciolo della questione:
"Scuola per piacere educa! Professori per piacere educate! Cercate di ascoltare e capire questi ragazzi e la realtà in cui vivono e di reinterpretare l'insegnamento alla luce delle possibilità che vi vengono offerte e che loro stessi vi chiedono di sfruttare. E allo stesso tempo tu ragazzo che aspetti? Lo so che vuoi darti da fare per migliorare le cose, lo so che hai una gran forza e voglia di esprimerti: fallo. Con coraggio. Senza paura. Tu puoi costruire il futuro. Non imprigionare la tua forza, non usarla per privare gli altri di ciò che potresti dare loro, ma liberala per costruire insieme qualcosa di bello. Qualcosa di nuovo, di eccitante ed innovativo, dal punto di vista tecnologico, sociale, culturale, quello che preferisci".
È stato anche questo un lavoro a più mani, io ho lanciato l'idea iniziale della dedica, ma poi, come noteranno i lettori, sono molto prolisso, e quindi ci abbiamo lavorato a più mani per renderla adeguatamente sintetica ed efficace.

PI: Nell'esperienza comune, spesso i progetti Open hanno successo solo nell'ambito della comunità o solo presso chi di questo si occupa. Il dossier scuola può smentire questo adagio?
LF: Ancora è presto per smentirlo, stiamo facendo ora il vero "salto nel buio" iniziando a rivolgerci all'esterno della nostra piccola nicchia. Anche se i primi risultati positivi li abbiamo avuti con apprezzamenti anche da parte del Ministero e di alcuni Uffici Scolastici Regionali. Anche qui è importante far capire che questo non è un documento per informatici. Per questo affrontiamo gli aspetti valoriali, e abbiamo curato molto lo stile semplice di comunicazione.

PI: Il dossier completo valuta ogni aspetto, dalle esigenze del docente, della struttura scolastica, a quella degli utilizzatori finali, e la scelta del software che viene proposto è veramente ampia e diversificata. Gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti?
LF: Sicuramente sì. Sinceramente sono pienamente soddisfatto e anche gli altri del gruppo lo sono. Credo che, nel nostro piccolo, abbiamo fatto qualcosa di importante: abbiamo fatto il punto della situazione di quanto in Italia già da anni si sta muovendo. Una sintesi che ritengo strumento fondamentale per poter verificare quanto fatto ed ipotizzare nuovi percorsi più efficaci. Un piccolo rammarico è non essere pronti con una "comoda" rete di distribuzione, ma a poco a poco sono convinto che i dossier raggiungeranno un ampio numero di gruppi locali e di scuole. Aggiungo anche che siamo in un momento di evoluzione. Dopo la tappa importante del Linux Day dove si è parlato molto del documento, c'è stata la fase di rifinitura ed infine la stampa grazie a ILS. Ora vogliamo cogliere l'occasione della distribuzione per aggregare l'interesse e poter non solo raccogliere nuove esperienze, ma attuare in altre scuole quanto scritto. Per questo stiamo cercando di dare anche una sostenibilità economica al progetto.

PI: Nell'ultima pagina del dossier si legge:
"È una raccolta di motivazioni, suggerimenti, progetti e buone pratiche di adozione: un elenco dettagliato ed esplicativo da dove le scuole potranno prendere esempi e contatti con chi ha già trovato una soluzione, e gli appassionati un riferimento per sensibilizzare le scuole stesse."
Viene quindi ribadito come il dossier sia una traccia, un riferimento. Lo sviluppo è chiuso o c'è ancora spazio per contributi?
LF: Sempre aperti a commenti e suggerimenti: quello che stiamo facendo è sviluppare una rete fra scuole, associazioni, gruppi, professionisti ed enti per promuovere nuove esperienze, nuove soluzioni e la libera formazione nella scuola. Vi invito a contattarci all'indirizzo dossierscuola@pdp.linux.it o tramite il sito www.dossierscuola.it:insieme riusciremo!

a cura di Patrizia Bisaccia

Fonte: Punto Informatico.
La pubblicazione su questo blog è a cura dell'autrice

giovedì 31 marzo 2011

Uno strano Spam da Puremobile Inc.


Oggi ho ricevuto questa strana e-mail che era tra gli spam che io guardo sempre per vedere se c'è qualcosa di particolarmente interessante:



Grazie per aver ordinate da Puremobile Inc.

Il questo messagio e solo da informarvi che il
vostro ordine ero stato ricevuto ed attualmente
e nel fase di elaborazione.

Il vostro riferimento di ordine e 9014.
Avrete bisogno di questo in corrispondenza.
Tale ricevuta non e prova di acquisto.
Riceverete la fattura stampata via posta a indirizzo di fatturazione.

Avete schelto la paga con la carta di credito.
La carta verra addebitata a somma di 745.00 USD
e "Puremobile Inc." apparira' accanto alla tassa di vostra dichiarazione.
L'informazione sul vostro acquisto appare sotto nel file.

Contrariamente a quanto io stesso consiglio di solito, ho aperto il file allegato che, oltre a non contenere virus (la scansione viene effettuata su ogni allegato dal servizio di posta che uso per questo tipo di mail), visualizzava una fattura reale intestata a tale Malek Moustadraf residente in Canada.
Che razza di spam è? Non spinge ad inviarla ad altri nè a rispondere. Pubblicità? Non mi sembra. Phishing? Non chiede di loggarsi ad alcun sito, non chiede informazioni personali nè il numero di carta di credito. Bufala? Non racconta niente se non che ho fatto un ordine in un italiano palesemente mortificato da un traduttore on line pessimo. Catena? Non invita a inviarla a nessuno. Non trovo spiegazioni e anzi invito chi mi legge ad aiutarmi a risolvere questo mistero.

Dopo aver letto i commenti vorrei tranquillizzare tutti coloro che si sono allarmati e non è il caso perchè la fattura è reale ma intestata a una persona diversa da chi riceve la mail, che nessuno ha i vostri dati personali nè tantomeno i dati della vostra carta di credito (ovviamente non rispondete inviandoli :) ), che probabilmente è un pesce d'aprile come suggerisce qualcuno e nemmeno molto ben studiato. Forse lo scopo era creare un pò di allarmismo. Mi resterà questa curiosità :)

giovedì 3 marzo 2011

La fine di Sid

Come si intuisce dal titolo, alla fine qualche giorno fa, ho rimosso Sid. Per quanto fosse divertente sperimentare soluzioni alternative ai problemi che si presentavano via via, mi sono resa conto che non era possibile tenere una distribuzione unstable su un computer che uso quotidianamente. Oltretutto, dopo l'ultimo update si bloccava di continuo ed ero costretta a riavviare. Sebbene ogni giorno ci fossero aggiornamenti che correggevano errori, ho installato Squeeze senza troppi indugi e devo dire che è assolutamente perfetto!
Ho scaricato il mini cd e in poco tempo ho avuto un pc completamente funzionale e con tutto l'hardware riconosciuto, compresa la scheda wireless. Gli sviluppatori Debian sono veramente all'avanguardia :)

venerdì 18 febbraio 2011

Licenze open:scegliamo informati

Molti di noi scelgono il copyleft per proteggere il software o le opere intellettuali che producono ma spesso non si hanno le idee chiare su quale licenza sia meglio scegliere, cosa consentire e cosa no a chi farà uso di ciò che è stato realizzato.
Abbiamo chiesto all'avvocato Luca Sileni di Wikimedia Italia di aiutarci a comprendere meglio.

In generale, quando si parla di licenze libere o copyleft cosa si intende?
Si intendono tutte quelle licenze che siano alternative al classico copyright.
Parlando in termini atecnici (anche in virtù del fatto che l’accezione “copyright” non è propria della lingua italiana ma di quella inglese), per copyright si intende solitamente il classico “tutti i diritti riservati” che un determinato autore ha sulla propria opera.
Le licenze libere ognuna a proprio modo, liberano (appunto) uno o più diritti esclusivi dell’autore dell’opera in favore dell’utilizzatore finale.
Il copyleft, quindi, non è altro che il termine con cui si identificano tutte quelle licenze che siano alternative al copyright e che quindi concedono (ognuna a proprio modo e secondo propri limiti) tutta una serie di facoltà specifiche all’utilizzatore finale (o fruitore). Facoltà che è l’autore a decidere di concedere, spogliandosi parzialmente di uno o più diritti che gli sono propri in favore di chi fruisce della propria opera.

Se dico GPL cosa risponde?
La GPL, nome completo GNU General Public License, è una licenza utilizzata per il software comunemente detto open source. Rappresenta una delle prime licenze così dette “libere” ed è nata alla fine degli anni ’80 ad opera di Richard Stallman ed Eben Moglen per rilasciare il software che veniva creato all’interno del progetto GNU (acronimo di GNU is Not Unix) nato nel 1983 con l’intento di costruire un sistema operativo completamente libero e rilasciato seguendo una gestione alternativa dei diritti di autore.
Accanto alla GPL , legata come detto al software , venne sviluppata anche la GFDL (GNU Free Documentation License) licenza libera utilizzata per i manuali e per la documentazione dei software rilasciato in GPL.
Tale licenza è rimasta per lungo tempo una dei pochi strumenti , legati al mondo dell’open source ,che permettesse di creare dei testi liberamente accessibili e modificabili da chiunque.
Proprio in virtù di tali caratteristiche è stata la licenza adottata sin dal 2001 da Wikipedia.

Oggi però sono molto utilizzate anche le Creative Commons
Le licenze Creative Commons sono nate a cavallo fra il 2002 ed il 2003 grazie all’associazione no profit “Creative Commons”. Tali licenze godono oggi di una buona notorietà e “fortuna” grazie alla loro semplicità di applicazione e di comprensione anche da parte di chi non ha dimestichezza con testi giuridici.
Tali licenze hanno struttura modulare, ossia, data una licenza di base l’autore può decidere quali ulteriori clausole inserire nella licenza finale. Ad ogni clausola corrisponde una maggiore ristrettezza nelle facoltà dell’utilizzatore dell’opera.
La “Cc,by,nc,nd” (ad esempio) identificata la licenza Creative Commons (Cc) che consente all’utilizzatore finale di divulgare liberamente l’opera a patto di indicare l’autore originale della stessa (by) e che lo obbliga altresì a non modificare l’opera (nd=no opere derivate) e a non sfruttarla commercialmente (nc=no sfruttamento commerciale).

la differenza sostanziale tra le due licenze che ha descritto in cosa sta?
La GFDL è una licenza univoca mentre le Creative Commons sono una serie di licenze modulari che consentono all’autore di decidere quali facoltà concedere a chi fruisce dell’opera.
La GFDL (rapportandola con le Creative Commons) è molto simile alla Cc,by,sa, tant’è che negli ultimi tempi (grazie a degli specifici accorgimenti giuridici utilizzati nel testo della versione 3.0 di quest’ultima licenza) la Wikimedia Foundation ha preso la decisione di affiancare – nei propri progetti – alla storica GFDL anche la Cc,by,sa che ha, ad oggi, decisamente un più largo utilizzo ed una maggiore diffusione.
Entrambe le licenze, comunque, prevedono due principali “impegni” per chi va a fruire dell’opera rilasciata con dette licenze, ossia, l’indicazione degli autori dell’opera (by) nel caso di riutilizzo della stessa e l’obbligo di rilasciare ogni eventuale opera derivata sempre con la medesima licenza (sa=Same attribution).

Cosa caratterizza le Creative Commons?
Come detto le licenze Cc hanno una struttura sostanzialmente modulare, quindi – anche riferendoci agli esempi già formulati –, oltre alla generica indicazione “Cc” che indica la licenza di base, e al “By” che identifica la necessità di indicare l’autore/autori dell’opera in caso di diffusione e/o riutilizzo, l’autore potrà scegliere di aggiungere una o più delle seguenti clausole:
Sa=Same Attribution (condividere allo stesso modo): obbligo di utilizzare la medesima licenza per ogni eventuale opera derivata da quella originaria;
Nc=Non commerciale: divieto assoluto di uso commerciale dell’opera (questo divieto non opera – come è logico – per l’autore);
Nd=Non opere derivate: divieto assoluto di trarre opere derivate da quella originaria.
L’elenco completo di tutte le licenze è reperibile sul sito ufficiale della Creative Commons

Che importanza hanno queste licenze per la cultura libera?
Queste licenze rappresentano uno strumento che permette una maggiore e più agevole diffusione della cultura libera.
Indubbiamente, qualora le Creative Commons o la GFDL non fossero mai state scritte, chiunque avrebbe comunque potuto creare un sito come Wikipedia elaborando un testo ad hoc che disciplinasse le condizioni di utilizzo dei testi e delle immagini contenute sul sito, ma sarebbe stato certamente più laborioso.
Il fatto di avere un tipo di licenza già strutturata e ben definita consente a chiunque di accedere con facilità e senza eccesivi rischi al mondo delle licenze copyleft.

Perché un autore dovrebbe scegliere una di queste invece che riservarsi tutti i diritti ?
La risposta in questo caso non può essere semplice né tantomeno univoca.
Ogni persona può avere diversi e molteplici motivi legati ad una scelta di questo tipo, mi è capitato di parlare con dei vignettisti che mi hanno, con molta franchezza, risposto che hanno adottato questo tipo di licenze perché comunque molti utenti prelevavano delle vignette dai loro blog e che in questo modo, almeno, li si legittimava a farlo a determinate condizioni.
Altri scelgono le licenze libere per pure motivazioni di ordine etico, legate direttamente alla cultura libera e al concetto secondo il quale la conoscenza non può essere oggetto di mercimonio.
Altri, ancora, approdano alle licenze libere per permettere alle proprie opere di godere di maggiori possibilità di circolazione, senza però rinunciare a futuri “auspicati” guadagni (molti gruppi musicali emergenti scelgono le licenze Cc proprio per questa ragione).

Quali sono i fattori da valutare quando si sceglie un tipo di licenza?
Vanno valutati soprattutto gli obiettivi che si hanno, nonché che cosa si vuol ricavare dalla propria opera.
Se gli scopi sono, ad esempio, la massima diffusione senza però rinunciare al profitto, allora potrà essere idonea una licenza che consenta all’utilizzatore finale di godere liberamente dell’opera e di ridistribuirla, impedendo però allo stesso di sfruttarla commercialmente e di trarne opere derivate.
Qualora, invece, lo scopo dell’autore sia quello di vedere la propria opera liberamente utilizzata da chiunque e “abbellita” o, se vogliamo, “modificata” da successivi interventi di altri autori, allora sarà certamente la Cc,by,sa ad essere la licenza può adatta a queste esigenze.

Si possono ottenere profitti anche utilizzando queste licenze? Ed in che modo?
Assolutamente si. Posto che l’autore è, al momento della creazione di un’opera d’arte, il detentore di tutti i diritti sulla stessa, il concedere alcune facoltà all’utilizzatore finale non significa assolutamente rinunciare totalmente ai diritti di sfruttamento economico su tale opera.
Un musicista che pubblichi un proprio brano in Cc,by,nc,nd (ad esempio) potrà tranquillamente produrre e vendere un proprio cd, oppure far normalmente pagare il biglietto per i propri concerti. Semplicemente la sua opera potrà viaggiare libera in rete (ma anche fuori dalla rete) senza bisogno che sia obbligatorio pagare un corrispettivo per ascoltare il brano.
Anche alcuni artisti conosciuti, su tutti i Nine Inch Nails, hanno deciso di adottare licenze simili a queste, proprio perché i fan della band continuano comunque ad acquistare i cd del gruppo e ad andare ai concerti, nonostante possano scaricare i brani in modo gratuito dal sito della band.
Discorso analogo può essere fatto per le opere letterarie. Un determinato autore può inserire sul suo sito il testo integrale del proprio romanzo, ma allo stesso tempo stamparlo e venderlo tramite ordinari canali commerciali.

In caso di violazione di una licenza cosa succede? A chi bisogna rivolgersi? Chi è competente in materia?
Tralasciando la competenza territoriale (che dipenderà dalla nazionalità dell’artista e da tutta un’altra serie di fattori), qualora ci sia una violazione di una licenza copyleft, competente sarà comunque l’autorità giudiziaria, come lo sarebbe in caso di violazione del diritto d’autore.
Sostanzialmente le licenze Creative Commons – benché non tutta la dottrina concordi sul punto – non sono altro che dei contratti che legano l’autore dell’opera al suo utilizzatore, quindi, un’eventuale violazione di detto accordo, dovrà essere fatta valere dinanzi all’autorità giudiziaria.
Come detto, però, se da una parte studiosi come Andrea Monti ( ritengono pienamente applicabile la disciplina dei contratti alle licenze, dove una licenza corrisponderebbe ad un c.d. contratto per adesione. Esiste anche, altra parte della dottrina, su tutti Carlo Piana) che ha intravisto la possibilità di qualificare, anche se non in tutti i casi, la licenza quale mero atto autorizzativo.
Un atto, quindi, con cui non si stipula un vero e proprio contratto con l’utilizzatore finale, ma attraverso il quale l’autore autorizza il fruitore a compiere una determinata serie di operazione sulla propria opera.

Anche se non è una licenza libera vorrei che mi parlasse del pubblico dominio perchè ha delle attinenze con l'argomento.
Il così detto Pubblico Dominio, identifica il momento in cui su una determinata opera vengono meno i diritti di sfruttamento economico e tutte gli altri diritti connessi, ad eccezione del così detto “diritto d’autore morale” che è diritto personalissimo ed imprescrittibile e che, di conseguenza, non decade mai.
Per esempio, il diritto di sfruttamento su una mia opera scadrebbe (secondo la nostra attuale normativa) dopo 70 anni dalla mia morte.
Trascorso tale termine chiunque potrebbe fruire liberamente di detta opera non violando – però – il diritto d’autore morale e, quindi, non potendo mai prescindere dall’attribuzione della paternità all’opera stessa (in parole povere nessuno potrebbe mai spacciare per propria un’opera di qualcun altro, benché sia diventata di pubblico dominio)

lunedì 14 febbraio 2011

I Motori di ricerca e San Valentino


Leggevo che oggi le frasi più ricercate sui motori di ricerca sono state "frasi d'amore" o "sms per San Valentino". Che squallore, ho pensato!
Possibile che anche per il giorno dedicato agli innamorati bisogna affidarsi ad internet? E la fantasia, la poesia, l'ispirazione? Chissà quante donne o uomini hanno ricevuto gli stessi biglietti, gli stessi sms scritti da chissà chi e non dalla persona amata! Non basta ascoltare il cuore? Importa poco se il messaggio è sgrammaticato, poco poetico o retorico, importa poco anche se non c'è, basta uno sguardo, una carezza, un sorriso che fanno più di tante parole. In un giorno di festa così commerciale diamo più importanza a chi amiamo e non sviliamolo con una ricerca su Google!

domenica 13 febbraio 2011

Ancora Sid

Mi ostino a tenere una distribuzione instabile perchè ogni giorno quando accendo il pc non so cosa accadrà e mi diverte cercare soluzioni alternative. Il più delle volte, quando installo gli aggiornamenti, mi dimentico di deselezionare quelli che so avranno effetti negativi e devo ripristinare molte cose. Ho optato quindi per installare solo pacchetti stabili ma ho anche notato che i problemi che avevo con Xserver sono stati risolti:non installava due dipendenze e mi toccava installare daccapo la versione stabile perchè mi ritrovavo con la riga di comando e senza interfaccia grafica ad ogni riavvio. Devo dire che oggi non ho avuto molto da fare a parte che con amsn perchè la 098.4 parte solo da root ma non ci voglio perdere tanto tempo perchè lo uso talmente poco che anche se non funziona importa poco. Col fatto che mi ostino a non deselezionare l'aggiornamento mi trovo a dover reinstallare ogni volta la versione precedente e poichè sono pigra, se dovesse ricapitare lo lascerò non funzionante :)
Una cosa strana che permane tuttora è che, secondo il network manager non ho installate nè la eth0 nè la wlan0 nè tantomeno le ho mai usate, mentre funzionano entrambe perfettamente. In questo momento sto usando la wlan0. Riesco a vederle e passare dall'una all'altra attraverso il monitor di rete.
Ho dovuto installare Icedove e rimuovere evolution al quale mi ero abituata perchè non riuscivo a gestire la posta: era sempre offline e l'opzione per lavorare online era "spenta".
Ho dovuto "adattare", sostituendo il software che usavo, le mie esigenze a quelle della mia distro ma imparo tanto e poi... si sa sono una smanettona :)

sabato 5 febbraio 2011

C'è un tempo per ogni cosa

Ieri dalla parrucchiera sfogliavo distrattamente una di quelle riviste patinate e sono letteralmente inorridita vedendo la foto di una bambina di 4 anni con i tacchi e vestita in modo poco adatto a una piccina di quell'età, per tacere del trucco!
L'articolo diceva che la bimba è dotata di carta di credito, in quale giorno della settimana fa shopping ed elencava le griffes che indossava.
Mi è venuto da pensare che i servizi sociali dovrebbero intervenire e affidare la bimba ad una famiglia più adatta, infinitamente più povera a livello materiale ma più ricca di amore.
I bambini non devono camminare come se fossero ad una sfilata di moda, devono stare comodi, insudiciarsi, ricevere coccole ed attenzioni e non avere idea di cosa sia il denaro!
Quali saranno le aspettative di questa bimba quando di anni ne avrà 10? Cosa avrà da chiedere o da fare o da vedere?
Mi viene in mente un passo della Bibbia che, io che sono cattolica, tengo sempre a mente, tratto,spero di non sbagliare, dal Dal libro di Qoèlet (3, 1-22).
Per ogni cosa c’è il suo momento,
un tempo opportuno per ogni faccenda sotto il cielo
Tempo per generare, tempo per morire;
tempo per piantare, tempo per sradicare il piantato;
tempo per uccidere, tempo per guarire;
tempo per demolire, tempo per costruire;
tempo per piangere, tempo per ridere;
tempo per fare lutto; tempo di danzare;
tempo per gettare pietre, tempo per raccoglierle;
tempo per abbracciarsi, tempo per staccarsi dagli abbracci;
tempo per cercare, tempo per perdere;
tempo per conservare, tempo per buttare via;
tempo per strappare, tempo per ricucire;
tempo per tacere, tempo per parlare;
tempo per amare, tempo per odiare,
tempo di guerra, tempo di pace.
Quale profitto, per chi agisce, in tutto il suo affaticarsi?

So per certo che i genitori della bimba, che non cito di proposito, non lo conoscono.

mercoledì 2 febbraio 2011

Minihowto:Upgrade da Lenny a Sid e risoluzione problemi

Cosa faccio di solito in un pomeriggio di noia? Incasino il mio pc ovviamente!
Ieri pomeriggio ho pensato bene infatti di passare a Debian Sid e cosa ho fatto? Ho aperto il file sources.list )in /etc/apt e ho sostituito lenny con sid, poi ho fatto un apt-get update e apt-get dist-upgrade. Caso ha voluto che il grub2 si piantasse e al riavvio ovviamente l'odioso error 15. Niente panico, si cerca una live, ne ho trovata una di Ubuntu e ho digitato nel terminale grub-install /dev/sda. E' andata anche troppo bene (mi sono detta), ho letto di casi in cui non si installa così facilmente, ma al riavvio il pc partiva solo in modalità testuale. Login quindi da utente, startx ed ecco l'interfaccia grafica ma come ripristinare il login grafico? Ho letto tantissimo ma niente, non era il server X a non funzionare. Apro synaptic e vado a controllare se GDM (Gnome Display Manager) è installato:non lo era! E non lo erano parecchie altre cose, tipo gedit per fare un esempio, i miei solitari di pysol, amsn, il wireless (ma questo me lo aspettavo).
Come mi è sparita tutta sta roba? Davvero non saprei dirlo.
Installo tutto con synaptic, per pysol invece risolvo su SourgeForge ma con tanta fatica perchè ho provato altre strade senza successo. Compilo e via.
Provo a installare il wireless come avevo fatto con Lenny ma niente. Dopo tanto cercare trovo questa guida, la seguo ma alla fine quando scrivo modprobe ath5k mi dice che i driver di configurazione devono essere tutti dentro /etc/modprobe.d. Copio quindi nella directory modprobe.conf e a questo punto riavvio.
Il wireless funziona! E funziona pure il led che indica la connessione (non si era mai acceso finora).
Spero di aver finito. Ma chi può dirlo? E in ogni caso, cosa mi inventerò in un altro pomeriggio di noia? :)


domenica 23 gennaio 2011

Public Domain Day:il giorno dopo

Ieri, come annunciato nel post precedente, si è tenuto a Grosseto il Public Domain Day, vi ho partecipato attivamente a causa della defezione all'ultimo minuto o quasi, del relatore che avrebbe dovuto parlare di Pirandello, Deledda e Fitzgerald. Avrebbe dovuto relazionare e leggere i brani di quegli autori e quindi abbiamo dovuto sostituirlo in fretta e furia, con due giovani laureate in lettere per la relazione sugli autori e... con me per la lettura dei brani.
Ero molto titubante, ma il mio amore per la letteratura e le mie esperienze teatrali di gioventù hanno fatto il resto e così ho letto brani tratti da "Tenera è la notte" di Fitzgerald, da "Cenere" della Deledda e da "Il fu Mattia Pascal" di Pirandello.
E' stato un pomeriggio pieno, ricco, partecipato e carico di emozione specialmente da parte mia e di Jenny e Valentina che relazionavano davanti a un pubblico per la prima volta.
Erano presenti anche il Sindaco, che ha rivolto delle domande all'avvocato Sileni di Wikimedia Italia e l'assessore alla cultura, che è intervenuto in relazione agli argomenti della giornata e soffermandosi sulla cultura libera e su come il Comune di Grosseto sia all'avanguardia sull'uso di strumenti liberi e soprattutto sull'uso di software libero.
Tra il pubblico facce note e non, nuovi amici e persone interessate alla giornata.
Un evento nuovo per noi e per la città ma sicuramente da ripetere.

martedì 18 gennaio 2011

Public Domain Day 2011


Il 1 gennaio di ogni anno è stato scelto per celebrare in tutto il mondo gli autori le cui opere diventano di pubblico dominio.
Da quest'anno non sono più soggetti a copyryght: Isaac Babel,Walter Benjamin,John Buchan,Mikhail Bulgakov,F. Scott Fitzgerald, Emma Goldman, Paul Klee, Selma Lagerlof, Leon Trotsky, Vito Volterra, Nathanael, West,Walter Benjamin, Mikhail Bulgakov.
Il Grolug, in collaborazione con la Biblioteca Chelliana, renderà omaggio, il 22 gennaio 2011, ad alcuni di questi eccezionali scrittori, nonchè ai due premi Nobel italiani Pirandello e Deledda.
Vi aspettiamo quindi presso la sala del Consiglio Comunale in Piazza Duomo a Grosseto dalle 15.30 alle 18.30.

Questo il programma:

15.30 Saluti delle autorità

15.45 Ing. Fabrizio Felici, Presidente Associazione GroLug Grosseto
Presentazione della giornata

16.00 Avv. Luca Sileni, Wikimedia Italia
L'importanza delle licenze “libere” per la cultura

16.30 D.ssa Valentina Larici, d.ssa Jenny Bigiarini, Biblioteca Chelliana
Autori “liberati”: Francis Scott Fitzgerald, Grazia Deledda, Luigi Pirandello

16,50 Lettura di brani scelti da Fitzgerald, Deledda, Pirandello

17.15 Prof. Claudio Carboncini, Associazione GroLug Grosseto
La cultura “libera” nella scuola
Presentazione del libro di testo “libero” per le scuole "Matematica C3”

18.00 Ing. Fabrizio Felici, Presidente Associazione GroLug Grosseto
Progetto wiiLD: una lavagna digitale “libera” per le scuole

Il manifesto è disponibile qui.

lunedì 17 gennaio 2011

Commenti spariti

Nel rimuovere uno spam dai commenti ho notato che ne erano spariti alcuni. Non ho idea di come questo sia potuto succedere e, sebbene abbia cercato per capire il come e il perchè ed il modo per recuperarli, ho trovato solo richieste senza risposta di altri a cui è capitata la stessa cosa. Io non posso che scusarmi con chi ha commentato per il disservizio ed augurarmi che non accada ancora.

venerdì 14 gennaio 2011

Minihowto:intallazione di OpenOffice 3.2 su Debian


Stamattina ho installato la nuova versione di OpenOffice, avevo ancora la 2.4 che, per la mia proverbiale pigrizia non mi decidevo a sostituire. Ho scaricato quindi la 3.2 per Debian e Ubuntu, l'ho scompattata, ho eliminato la versione che avevo, si può fare da Synaptic o
# apt-get remove openoffice*.*
è da rimuovere anche dalla home le directory manualmente (ricordate che sono nascoste!) e poi, da terminale ovviamente, ho installato la nuova. vediamo i passaggi.
# tar xvf nome pacchetto (o doppio clic sull'icona)
# cd nome pacchetto
# cd DEB
# dpkg -i *.deb
Dopo di ciò tasto destro sulle Applicazioni---Modifica menu---Ufficio---selezionare tutto ciò che riguarda OpenOffice e l'ho rimosso.
A questo punto ho installato il pacchetto che si trova in /DEB/desktop-integration/openoffice.org3.2-debian-menus_3.2-9502_all.deb
l'ho fatto con il tasto destro e gdebi.
Non è ancora finita: tasto destro sui file di OpenOffice e poi su proprietà e apri con e ho selezionato OpenOffice 3.2. Basta farlo su uno per tipo.
Come sempre semplice e veloce.

sabato 8 gennaio 2011

Disattenzioni che si pagano

Mi capita, quando tengo dei corsi di informatica per principianti e vedo tutti impauriti davanti ai pc, di sottolineare che un non è un utente inesperto a far danni bensì il contrario. Ebbene la settimana scorsa ho dato prova a me stessa che questa teoria è assolutamente corretta. Stavo installando Linux su un pc con Windows e, per disattenzione o troppa sicurezza, non ho fatto caso che la home andava a installarsi direttamente sulla partizione Windows, con il risultato che potete immaginare. Ho impiegato un giorno intero per ricostruire tutto poichè non avevo che un disco di Windows e quindi niente driver e devo dire che mi è stato molto utile questo software che mi ha permesso di reperire quanto mi mancava. Per fortuna avevo i backup dei documenti vari ed ho ovviato al danno. Ma quanto tempo! Non mi sono mancati nemmeno i problemi hardware perchè il pc non era nuovissimo e forse nel trasporto ha perso il jumper del disco fisso. Una situazione davvero fantozziana ma per fortuna ho potuto porvi rimedio

lunedì 3 gennaio 2011

Pinguini alle elementari

Al ritorno dalle vacanze i bambini delle scuole elementari di Giucarico (GR) troveranno una sorpresa sui loro computer: i pinguini!
Stamattina infatti, con Fabrizio e Claudio, rispettivamente Presidente e Segretario del Grolug, abbiamo installato la distribuzione Debian4kids nel laboratorio che usano a scuola, grazie alla disponibilità ed alla lungimiranza delle loro docenti.
Si tratta di una distribuzione pensata appositamente per la scuola primaria, ricca di software per la didattica, di giochi e perfino di una versione di OpenOffice personalizzata ad uso e consumo dei più piccoli.
Abbiamo constatato che si installa facilmente anche su macchine non di ultima generazione e richiede uno spazio di 10GB.
I bambini di Giucarico useranno inoltre Scribus per realizzare il loro giornalino scolastico.