Molti di noi scelgono il copyleft per proteggere il software o le opere intellettuali che producono ma spesso non si hanno le idee chiare su quale licenza sia meglio scegliere, cosa consentire e cosa no a chi farà uso di ciò che è stato realizzato.
Abbiamo chiesto all'avvocato Luca Sileni di Wikimedia Italia di aiutarci a comprendere meglio.
In generale, quando si parla di licenze libere o copyleft cosa si intende?
Si intendono tutte quelle licenze che siano alternative al classico copyright.
Parlando in termini atecnici (anche in virtù del fatto che l’accezione “copyright” non è propria della lingua italiana ma di quella inglese), per copyright si intende solitamente il classico “tutti i diritti riservati” che un determinato autore ha sulla propria opera.
Le licenze libere ognuna a proprio modo, liberano (appunto) uno o più diritti esclusivi dell’autore dell’opera in favore dell’utilizzatore finale.
Il copyleft, quindi, non è altro che il termine con cui si identificano tutte quelle licenze che siano alternative al copyright e che quindi concedono (ognuna a proprio modo e secondo propri limiti) tutta una serie di facoltà specifiche all’utilizzatore finale (o fruitore). Facoltà che è l’autore a decidere di concedere, spogliandosi parzialmente di uno o più diritti che gli sono propri in favore di chi fruisce della propria opera.
Se dico GPL cosa risponde?
La GPL, nome completo GNU General Public License, è una licenza utilizzata per il software comunemente detto open source. Rappresenta una delle prime licenze così dette “libere” ed è nata alla fine degli anni ’80 ad opera di Richard Stallman ed Eben Moglen per rilasciare il software che veniva creato all’interno del progetto GNU (acronimo di GNU is Not Unix) nato nel 1983 con l’intento di costruire un sistema operativo completamente libero e rilasciato seguendo una gestione alternativa dei diritti di autore.
Accanto alla GPL , legata come detto al software , venne sviluppata anche la GFDL (GNU Free Documentation License) licenza libera utilizzata per i manuali e per la documentazione dei software rilasciato in GPL.
Tale licenza è rimasta per lungo tempo una dei pochi strumenti , legati al mondo dell’open source ,che permettesse di creare dei testi liberamente accessibili e modificabili da chiunque.
Proprio in virtù di tali caratteristiche è stata la licenza adottata sin dal 2001 da Wikipedia.
Oggi però sono molto utilizzate anche le Creative Commons
Le licenze Creative Commons sono nate a cavallo fra il 2002 ed il 2003 grazie all’associazione no profit “Creative Commons”. Tali licenze godono oggi di una buona notorietà e “fortuna” grazie alla loro semplicità di applicazione e di comprensione anche da parte di chi non ha dimestichezza con testi giuridici.
Tali licenze hanno struttura modulare, ossia, data una licenza di base l’autore può decidere quali ulteriori clausole inserire nella licenza finale. Ad ogni clausola corrisponde una maggiore ristrettezza nelle facoltà dell’utilizzatore dell’opera.
La “Cc,by,nc,nd” (ad esempio) identificata la licenza Creative Commons (Cc) che consente all’utilizzatore finale di divulgare liberamente l’opera a patto di indicare l’autore originale della stessa (by) e che lo obbliga altresì a non modificare l’opera (nd=no opere derivate) e a non sfruttarla commercialmente (nc=no sfruttamento commerciale).
la differenza sostanziale tra le due licenze che ha descritto in cosa sta?
La GFDL è una licenza univoca mentre le Creative Commons sono una serie di licenze modulari che consentono all’autore di decidere quali facoltà concedere a chi fruisce dell’opera.
La GFDL (rapportandola con le Creative Commons) è molto simile alla Cc,by,sa, tant’è che negli ultimi tempi (grazie a degli specifici accorgimenti giuridici utilizzati nel testo della versione 3.0 di quest’ultima licenza) la Wikimedia Foundation ha preso la decisione di affiancare – nei propri progetti – alla storica GFDL anche la Cc,by,sa che ha, ad oggi, decisamente un più largo utilizzo ed una maggiore diffusione.
Entrambe le licenze, comunque, prevedono due principali “impegni” per chi va a fruire dell’opera rilasciata con dette licenze, ossia, l’indicazione degli autori dell’opera (by) nel caso di riutilizzo della stessa e l’obbligo di rilasciare ogni eventuale opera derivata sempre con la medesima licenza (sa=Same attribution).
Cosa caratterizza le Creative Commons?
Come detto le licenze Cc hanno una struttura sostanzialmente modulare, quindi – anche riferendoci agli esempi già formulati –, oltre alla generica indicazione “Cc” che indica la licenza di base, e al “By” che identifica la necessità di indicare l’autore/autori dell’opera in caso di diffusione e/o riutilizzo, l’autore potrà scegliere di aggiungere una o più delle seguenti clausole:
Sa=Same Attribution (condividere allo stesso modo): obbligo di utilizzare la medesima licenza per ogni eventuale opera derivata da quella originaria;
Nc=Non commerciale: divieto assoluto di uso commerciale dell’opera (questo divieto non opera – come è logico – per l’autore);
Nd=Non opere derivate: divieto assoluto di trarre opere derivate da quella originaria.
L’elenco completo di tutte le licenze è reperibile sul sito ufficiale della Creative Commons
Che importanza hanno queste licenze per la cultura libera?
Queste licenze rappresentano uno strumento che permette una maggiore e più agevole diffusione della cultura libera.
Indubbiamente, qualora le Creative Commons o la GFDL non fossero mai state scritte, chiunque avrebbe comunque potuto creare un sito come Wikipedia elaborando un testo ad hoc che disciplinasse le condizioni di utilizzo dei testi e delle immagini contenute sul sito, ma sarebbe stato certamente più laborioso.
Il fatto di avere un tipo di licenza già strutturata e ben definita consente a chiunque di accedere con facilità e senza eccesivi rischi al mondo delle licenze copyleft.
Perché un autore dovrebbe scegliere una di queste invece che riservarsi tutti i diritti ?
La risposta in questo caso non può essere semplice né tantomeno univoca.
Ogni persona può avere diversi e molteplici motivi legati ad una scelta di questo tipo, mi è capitato di parlare con dei vignettisti che mi hanno, con molta franchezza, risposto che hanno adottato questo tipo di licenze perché comunque molti utenti prelevavano delle vignette dai loro blog e che in questo modo, almeno, li si legittimava a farlo a determinate condizioni.
Altri scelgono le licenze libere per pure motivazioni di ordine etico, legate direttamente alla cultura libera e al concetto secondo il quale la conoscenza non può essere oggetto di mercimonio.
Altri, ancora, approdano alle licenze libere per permettere alle proprie opere di godere di maggiori possibilità di circolazione, senza però rinunciare a futuri “auspicati” guadagni (molti gruppi musicali emergenti scelgono le licenze Cc proprio per questa ragione).
Quali sono i fattori da valutare quando si sceglie un tipo di licenza?
Vanno valutati soprattutto gli obiettivi che si hanno, nonché che cosa si vuol ricavare dalla propria opera.
Se gli scopi sono, ad esempio, la massima diffusione senza però rinunciare al profitto, allora potrà essere idonea una licenza che consenta all’utilizzatore finale di godere liberamente dell’opera e di ridistribuirla, impedendo però allo stesso di sfruttarla commercialmente e di trarne opere derivate.
Qualora, invece, lo scopo dell’autore sia quello di vedere la propria opera liberamente utilizzata da chiunque e “abbellita” o, se vogliamo, “modificata” da successivi interventi di altri autori, allora sarà certamente la Cc,by,sa ad essere la licenza può adatta a queste esigenze.
Si possono ottenere profitti anche utilizzando queste licenze? Ed in che modo?
Assolutamente si. Posto che l’autore è, al momento della creazione di un’opera d’arte, il detentore di tutti i diritti sulla stessa, il concedere alcune facoltà all’utilizzatore finale non significa assolutamente rinunciare totalmente ai diritti di sfruttamento economico su tale opera.
Un musicista che pubblichi un proprio brano in Cc,by,nc,nd (ad esempio) potrà tranquillamente produrre e vendere un proprio cd, oppure far normalmente pagare il biglietto per i propri concerti. Semplicemente la sua opera potrà viaggiare libera in rete (ma anche fuori dalla rete) senza bisogno che sia obbligatorio pagare un corrispettivo per ascoltare il brano.
Anche alcuni artisti conosciuti, su tutti i Nine Inch Nails, hanno deciso di adottare licenze simili a queste, proprio perché i fan della band continuano comunque ad acquistare i cd del gruppo e ad andare ai concerti, nonostante possano scaricare i brani in modo gratuito dal sito della band.
Discorso analogo può essere fatto per le opere letterarie. Un determinato autore può inserire sul suo sito il testo integrale del proprio romanzo, ma allo stesso tempo stamparlo e venderlo tramite ordinari canali commerciali.
In caso di violazione di una licenza cosa succede? A chi bisogna rivolgersi? Chi è competente in materia?
Tralasciando la competenza territoriale (che dipenderà dalla nazionalità dell’artista e da tutta un’altra serie di fattori), qualora ci sia una violazione di una licenza copyleft, competente sarà comunque l’autorità giudiziaria, come lo sarebbe in caso di violazione del diritto d’autore.
Sostanzialmente le licenze Creative Commons – benché non tutta la dottrina concordi sul punto – non sono altro che dei contratti che legano l’autore dell’opera al suo utilizzatore, quindi, un’eventuale violazione di detto accordo, dovrà essere fatta valere dinanzi all’autorità giudiziaria.
Come detto, però, se da una parte studiosi come Andrea Monti ( ritengono pienamente applicabile la disciplina dei contratti alle licenze, dove una licenza corrisponderebbe ad un c.d. contratto per adesione. Esiste anche, altra parte della dottrina, su tutti Carlo Piana) che ha intravisto la possibilità di qualificare, anche se non in tutti i casi, la licenza quale mero atto autorizzativo.
Un atto, quindi, con cui non si stipula un vero e proprio contratto con l’utilizzatore finale, ma attraverso il quale l’autore autorizza il fruitore a compiere una determinata serie di operazione sulla propria opera.
Anche se non è una licenza libera vorrei che mi parlasse del pubblico dominio perchè ha delle attinenze con l'argomento.
Il così detto Pubblico Dominio, identifica il momento in cui su una determinata opera vengono meno i diritti di sfruttamento economico e tutte gli altri diritti connessi, ad eccezione del così detto “diritto d’autore morale” che è diritto personalissimo ed imprescrittibile e che, di conseguenza, non decade mai.
Per esempio, il diritto di sfruttamento su una mia opera scadrebbe (secondo la nostra attuale normativa) dopo 70 anni dalla mia morte.
Trascorso tale termine chiunque potrebbe fruire liberamente di detta opera non violando – però – il diritto d’autore morale e, quindi, non potendo mai prescindere dall’attribuzione della paternità all’opera stessa (in parole povere nessuno potrebbe mai spacciare per propria un’opera di qualcun altro, benché sia diventata di pubblico dominio)
2 commenti:
Bella "guida rapida" :-)
grazie amigo! grande post!
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