lunedì 8 settembre 2008

I numeri primi e Il premio Strega: un rapporto poco convincente

Amo leggere, leggo di tutto e finisco quello che ho cominciato anche se è noioso o non mi ispira emozioni. Non sono molti gli scrittori che sanno dare vita alle parole, far immergere il lettore fino ad identificarsi con i personaggi. Ricordo la prima volta che ho letto “I fratelli Karamazov”, quando diventavo un tutt'uno con i protagonisti e a quel punto, proprio in quel momento Dostoevskij mi riportava alla realtà scrivendo “caro lettore”, semplicemente, ricordandomi che stavo leggendo e che non ero parte della storia. Come fa? Mi domandavo.
Avrà vinto qualche premio? Servono i premi a consacrare un grande scrittore? Oggi pare di no se il premio Strega di quest'anno lo ha vinto un fisico che si è inventato scrittore. Accanto a Tomasi di Lampedusa, Levi, Pavese, Eco, Siciliano, troviamo questo emerito sconosciuto che con un titolo di grande effetto (e per quel che mi riguarda ingannevole) si è trovato tra i grandi della nostra letteratura. Parlo de “La solitudine dei numeri primi” di Paolo Giordano.
Ho voluto leggere questo libro perchè pensavo parlasse di matematica ma ho subito notato che non era così. La lettura è scorrevole (noi italiani non siamo tutti scrittori e cantanti?) ma i personaggi non hanno spessore, non sono che abbozzati, vanno per la loro strada immutabili, come se il percorso se lo fossero tracciato da soli.
Forse è più facile criticare che non scrivere mi si potrà dire ma certo l'autore, il fisico Giordano, avrebbe potuto documentarsi un po' meglio sugli argomenti dei quali trattava e avrebbe reso questo romanzo scialbo, senz'altro migliore.
Stendo un velo sulla stesura dei dialoghi, sulla scelta di abolire le virgolette nei discorsi diretti, sulla piattezza delle situazioni, sugli stereotipi ritriti e mi soffermo solo su ciò che mi ha parecchio dato fastidio.
I temi erano di attualità, anoressia, autolesionismo, diversità sessuale, ma sono argomenti dei quali non si può trattare in maniera superficiale e “da uomo della strada”, senza prima essersi fatti una cultura anche solo con ricerche e interviste.
L'anoressia di Alice è una burletta e se la trascina tutta la vita (o fino a che non si rialza? Era qui che voleva andare a parare il signor Giordano?). Una ragazza che cresce in una famiglia che non vede che la figlia ha qualche problema,che non va mai a curarsi, che vive quasi una vita normale, solo senza cibo. Ha mai visto una persona anoressica il nostro scrittore? E lo stesso dicasi di Mattia, che nessuno si sogna di far seguire, dopo che ha praticamente ammazzato la sorella e si procura ferite. Ci sono anni di analisi e di cure psicologiche dietro questi drammi! Invece i nostri protagonisti e le loro famiglie vivono le loro vite, un po' stranamente, ma giusto un po'.
Casualmente i due si incontrano, per mezzo della Barbie di turno, che mi fa domandare se il signor Giordano abbia studiato in un liceo americano o abbia visto uno di quei filmettini idioti sul bullismo delle ragazze pon pon.
Il matrimonio poi, con il dottore incompetente che non si accorge di cosa soffre la moglie, non vede che non mangia e che sì e no dovrebbe pesare 30 kg. Ha mai visto il nostro premiato autore le braccia di una ragazza anoressica?
Una vera chicca è però il fare immaginare al lettore che Michela sia ancora viva, perchè come tutti sappiamo, ci sono molte persone di buon cuore che vagano per i parchi alla ricerca di bambini randagi e che, quando li trovano, non lo rendono noto alle autorità o alla famiglia, li portano invece a casa e li curano amorevolmente tenendoli nascosti magari in uno scantinato perchè si sono resi colpevoli di un reato che si chiama sequestro di minore.
Quando chiudo un libro di solito assaporo le emozioni che mi ha lasciato, ripenso ai personaggi, mi documento sull'autore e sul periodo storico. In questo caso mi sono resa conto di aver sprecato un pomeriggio e di provare risentimento perchè mi sento presa in giro, perchè mi era stato promesso qualcosa di bello e invece non ho avuto che parole in fila che non prendono vita.

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