Se avessi 10 anni e dovessi scrivere un tema sull'universo, oggi scriverei che è un impasto lievitato con le nocciole. Forse scriverei che è una pizza.
Mi piace poter pensare, dopo aver ascoltato Margherita Hack che parlava a una platea gremita, ieri nell'aula magna dell'università di Grosseto, che anche un bambino abbia capito le sue parole, abbia appreso, come sono nate le stelle e forse l'universo intero.
Non sto scrivendo per dire se l'universo sia finito o meno, se ci sia stato il Big Bang o no, non voglio fare supposizioni oziose che non mi competono, ma voglio raccontare di come si possa parlare di impasti e nocciole, di come si possa tenere attenta una sala di persone di cultura eterogenea e far capire a tutti di cosa si sta parlando senza smettere per un attimo di essere una scienziata.
Ciò che mi è rimasto impresso di quella donna, che ho visto solo un attimo quando è entrata, e solo perchè mi è passata accanto, che ho ascoltato come alla radio, per quanta gente era presente e che francamente non mi sarei aspettata, è che si può esporre semplicememente un argomento senza boria e presunzione, che si possono condividere le proprie conoscenze con tutti anche con chi di quell'argomento non ne sa nulla, usando i termini appropriati, anche tecnici ma dando conto di ognuno, come si fa appunto con i bambini, senza mai far dimenticare a chi ascolta chi è che sta esponendo.
L'avrei ascoltata ancora, nonostante le persone che avevo quasi addosso, nonostante il caldo afoso ma la conclusione è arrivata inaspettata, quasi in punta di piedi lasciandomi una sensazione di sconfinata ammirazione nei confronti di quella che ritengo una grande ma anche invidia per quel cervello giovane, per quella memoria da ventenne, per la scelta dei termini azzeccata. A paragone mi sento uno scarto di fabbrica con la mia memoria volatile e il cervello sempre in fase di connessione e non posso fare a meno di domandarmi perchè non ne producono più così.
Mi piace poter pensare, dopo aver ascoltato Margherita Hack che parlava a una platea gremita, ieri nell'aula magna dell'università di Grosseto, che anche un bambino abbia capito le sue parole, abbia appreso, come sono nate le stelle e forse l'universo intero.
Non sto scrivendo per dire se l'universo sia finito o meno, se ci sia stato il Big Bang o no, non voglio fare supposizioni oziose che non mi competono, ma voglio raccontare di come si possa parlare di impasti e nocciole, di come si possa tenere attenta una sala di persone di cultura eterogenea e far capire a tutti di cosa si sta parlando senza smettere per un attimo di essere una scienziata.
Ciò che mi è rimasto impresso di quella donna, che ho visto solo un attimo quando è entrata, e solo perchè mi è passata accanto, che ho ascoltato come alla radio, per quanta gente era presente e che francamente non mi sarei aspettata, è che si può esporre semplicememente un argomento senza boria e presunzione, che si possono condividere le proprie conoscenze con tutti anche con chi di quell'argomento non ne sa nulla, usando i termini appropriati, anche tecnici ma dando conto di ognuno, come si fa appunto con i bambini, senza mai far dimenticare a chi ascolta chi è che sta esponendo.
L'avrei ascoltata ancora, nonostante le persone che avevo quasi addosso, nonostante il caldo afoso ma la conclusione è arrivata inaspettata, quasi in punta di piedi lasciandomi una sensazione di sconfinata ammirazione nei confronti di quella che ritengo una grande ma anche invidia per quel cervello giovane, per quella memoria da ventenne, per la scelta dei termini azzeccata. A paragone mi sento uno scarto di fabbrica con la mia memoria volatile e il cervello sempre in fase di connessione e non posso fare a meno di domandarmi perchè non ne producono più così.
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